La scrittura è un luogo magico in cui scopriamo ogni volta qualcosa di nuovo e sorprendente su noi stessi, sulla nostra vita e sul mondo. Enzo De Caro, in un corso di scrittura creativa a cui ho partecipato, diceva qualcosa che trovo straordinariamente vero: “la scrittura è un lavoro di sottrazione, bisogna abbandonare tutte quelle cose che non servono, conoscere la propria storia personale e saperla usare, sapere cosa c’è nelle nostra stanza dei tesori, la parte più profonda e segreta di noi stessi. Sicuramente questo è un processo difficile e doloroso ma la nostra scrittura nasce soltanto dalla nostra esperienza e dalle ferite ormai rimarginate, a patto di sapere chi, come e quando ce le siamo fatte”.
La scrittura ha a che fare con le ferite. È un unguento che lenisce e dà sollievo, o sale che brucia e purifica. È un viaggio dal quale non si torna mai uguali a quando si è partiti.
Isabel Allende, la mia scrittrice preferita, in Paula scrive: “La mia vita si fa nel narrarla e la mia memoria si fissa con la scrittura, ciò che non riverso in parole sulla carta lo cancella il tempo”. Lalla Romano in La penombra che abbiamo attraversato, invece, dice: “La scrittura restituisce ciò che il tempo ci porta via attraverso il tempo stesso”.
Un racconto è un dono, scrive Isabel Allende. E’ così. Non puoi forzarlo e quando arriva non puoi non accoglierlo. Te lo senti nascere dentro, lo vedi prender forma e sai che è tuo. Ma non lo resterà a lungo. Il tuo compito è solo quello di dargli vita per poi donarlo agli altri e una volta in mano al lettore non ti appartiene più perché ognuno ci mette un pezzo di se stesso e lo trasforma. Spesso lo rende migliore, altre volte è il racconto a rendere migliore chi lo riceve. Questo processo mi affascina, è magico.