Il terzo lunedì di gennaio è il Blue Monday, il giorno più triste dell’anno. Nulla di scientifico ma una tradizione, di abbastanza recente acquisizione, legata a ragioni di marketing.
Com’è nato il Blue Monday
Il termine Blue Monday è stato coniato dallo psicologo Cliff Arnall nel 2004 per una compagnia di viaggi, la Sky Travel, che gli aveva chiesto una “formula scientifica” per esprimere la malinconia che le persone generalmente provano a gennaio. Sentimento che, nella cultura anglosassone, si associa al colore blu, mentre in Italia diremmo lunedì nero.
Secondo Arnall, a influire sulla percezione di questo lunedì come il giorno più triste dell’anno sarebbero diverse variabili: condizioni atmosferiche (W); debito (D); salario mensile (d); tempo trascorso dal Natale (T); tempo trascorso dal fallimento dei propositi per il nuovo anno(Q); livelli motivazionali bassi (M); sensazione di una necessità di agire (Na).
Con queste sigle, Cliff Arnall ha ideato una vera e propria formula: {[W+(D-d)] xTQ} / (MxNa). Neppure così, tuttavia, venne riconosciuto il valore scientifico dell’equazione, tanto che l’Università di Cardiff si vide costretta a prendere le distanze dallo psicologo.
Blue Monday: un’operazione di marketing
Il Blue Monday, quindi, era soltanto una trovata di marketing per promuovere viaggi in bassa stagione. L’obiettivo della Sky Travel era generare un bisogno attraverso il sentimento negativo della tristezza, da curare mediante la promozione di un viaggio organizzato da loro offerto, che avrebbe favorito il benessere degli acquirenti. Niente altro, dunque, che un’azzeccata campagna pubblicitaria.
Blue Monday e depressione stagionale
Se il Blue Monday non ha basi scientifiche, esiste però la depressione stagionale, la cui sintomatologia si caratterizza, oltre che per umore deflesso, anche per rallentamento e stanchezza, aumento dell’appetito e delle ore di sonno. L’andamento stagionale è più frequente nel sesso femminile e nel tempo tende ad attenuarsi.
Il disturbo stagionale (SAD, seasonal affective disorder) è più diffuso nei Paesi nordici, dove la variazione della quantità di luce solare presente nel corso dell’anno è più ampia e nei mesi freddi si riduce in modo molto significativo la parte della giornata illuminata. Tuttavia, anche in Italia non è da sottovalutare perché riguarda una fetta sempre più ampia di popolazione.