I calciatori: croce e delizia del mio lavoro.
Delizia per gli occhi guardare ventidue uomini praticamente in mutande correre dietro ad una palla e divertirsi come bambini. Quando poi questi uomini hanno il fisico statuario di Doudou, gli occhi azzurri e penetranti di Gazzola, la simpatia di Koman, la classe di De Zerbi, la forza di volontà di Di Cecco (tanto per citarne alcuni, senza nulla voler togliere agli altri), allora lavorare diventa un vero piacere.
Croce. Si, perché i calciatori (non tutti, sia chiaro) sono gli esseri più presuntuosi che abbia mai conosciuto. Se ti salutano, ti fanno un piacere; se ti sorridono, puoi ritenerti una persona fortunata; se addirittura ti rivolgono la parola, allora sei proprio stato graziato da Dio.
Cos’è, mi sono sempre chiesta, che rende i calciatori una classe privilegiata? Che li fa sentire idoli in un mondo in cui gli eroi sono solo fugaci apparizioni destinate a dissolversi in un universo illusorio fatto di immagini preconfezionate?
La risposta l’ho solo parzialmente trovata scorrendo testi di sociologia, di sport, di comunicazione.
Tutto è legato al rapporto tra sport e media.
Quando la televisione sceglie il calcio, rendendolo protagonista, il pubblico comincia ad appassionarsi ai giocatori, a seguirne i successi, ad ergerli a divi, dei veri e propri idoli da guardare, emulare, ammirare. Essi non soltanto competono per la conquista di un trofeo ma anche recitano una parte di fronte ad un pubblico. Lo spettacolo sportivo allestito dai media è tutto teso a celebrare gli eventi e i loro protagonisti, a presentarli come eroi eccezionali, campioni straordinari, personaggi che incarnano i valori consolidati, garantiscono continuità socioculturale, generano identificazione e appartenenza. Trattati come eroi, adorati come dei, le star del calcio cominciano ad influenzare ogni aspetto della vita quotidiana del pubblico, dettando tendenze in fatto di moda, stili di vita e bisogni. È attorno a loro che ruota il calcio-business. La merce viene investita di tutti quei valori che sono propri dello sport e degli sportivi, resa attraeste e più credibile.
Gli spettatori, guardando lo sport in televisione, sono in grado di dimenticare i loro problemi e ritornare alla dimensione infantile del gioco. In questo spazio virtuale possono giocare in tutta sicurezza attraverso qualcun altro, i calciatori, che diventano i nuovi miti con cui identificarsi e su cui proiettare i propri sogni e quei bisogni d’amore e felicità mai soddisfatti se non attraverso i personaggi del grande e piccolo schermo. I giocatori diventano, dunque, delle star, delle celebrità in cui il pubblico si identifica, gli intermediari tra il reale e l’immaginario, gli dei di una nuova religione terrena.
Molti calciatori nel corso degli anni hanno catturato l’attenzione dei media ma soltanto pochi sono diventati delle vere e proprie star, in grado di incarnare valori, di porsi come divi a tutto campo, generare un forte senso di appartenenza. Uno di loro è senza dubbio Diego Armando Maradona, campione dalla vita spettacolare, vissuta interamente sotto l’occhio vigile delle telecamere che ne hanno seguito la carriera, esaltato il carisma e condannato gli errori. Altri giocatori – è il caso di David Beckham – sono stati trasformati in celebrità ad uso e consumo del grande pubblico. Altre volte, infine, più che i singoli è un’intera squadra ad essere trasformata in simbolo nazionale e motivo di orgoglio per il Paese.