Religione e fede

In ogni cosa, dentro!

L’immagine della vigna era molto usata al tempo di Gesù.
Nell’A.T. Israele era la vigna di Dio. Nel Cantico dei Cantici la sposa invita lo sposo nelle vigne, il luogo dell’amore, dell’estasi, dalla gioia sessuale.
Il vino, per gli antichi, era il simbolo della felicità, dell’ebbrezza, dell’intensità, del piacere della vita. Quando a Cana manca il vino la festa sembra finire, ma poi, ci pensa Gesù e la festa e le danze possono ricominciare perché il vino c’è ancora.
Quest’immagine vuol dire: “La gioia, la felicità è conseguenza della vitalità, del vino che hai dentro. Ma se tu perdi contatto con il tuo profondo, con le radici, con la vigna, allora nessuna gioia è possibile”.
Da una parte, allora “Tu, che sei come un tralcio, non ti distaccare mai dalla tua origine, dalla vigna; non ti distaccare mai dalla comunione profonda, non staccarti mai dal tuo profondo, dalla tua anima, da ciò che hai dentro perché nell’esatto momento che questo avverrà ti perderai, ti seccherai”. Se tu perdi contatto con il tuo profondo tu sei morto. E’ la legge della vita: il tralcio staccato dal ramo muore.
Dall’altra quando Gesù dice di essere la vite vera dice: “Io sono il sapore della vita, io sono il gusto della vita, io sono l’ebbrezza della vita, io sono l’elisir della vita, io sono il piacere della vita”.
Ogni volta che noi nell’eucaristia diciamo: “Questo è il mio calice versato per voi” diciamo due cose.
1. Diciamo sia che il sangue rappresenta la sofferenza, l’aspetto difficile della vita, duro, ostico, doloroso, (qui nel vangelo si parla di essere potati, purificati, tagliati);
2. ma diciamo pure che Gesù, quel vino, è il nostro gusto, il nostro sapore, ciò che ci dà vitalità.
La vita dev’essere un gusto, un piacere. Dev’essere bello, gustoso, appassionante vivere, altrimenti diventa insopportabile, un peso. Guardate quante facce da funerale, da cimitero, da venerdì santo in giro. Ma la vita dev’essere come bere un bicchiere di vino, dice Gesù. Dovete gioire di essere al mondo, di essere voi stessi. Godetevi le cose e le persone. Gesù si presenta come il vino, il gusto, il sapore della vita. Il piacere è per me, è il luogo dove io posso sperimentare la bontà, il gusto di Dio, il sapore di Dio, l’amore di Dio.
Non aver paura di essere felice. Il Talmud dice: “Saremo giudicati su tutti i piaceri legittimi a cui abbiamo rinunciato”.
Gesù dice: “Non assolutizzare mai il piacere, non esserne dipendente, non esserne succube, non attaccarti, ma gusta e godi di ciò che io ho creato”. Se ti attacchi al vino diventi alcolista, il che non vuol dire goderne!
Tutto ciò che esiste, esiste per noi. Ma non per essere conquistato, ma per essere goduto.
Godere è lasciare che le cose esistano, che ci siano. Le sento, le lascio vibrare dentro di me, le assaporo, ma le lascio libere, non le posseggo perché non sono mie.
Godere è: lascio che l’altro sia e ne gioisco, ne sento la vibrazione dentro di me e in me. Mentre quando lo si possiede non si è in grado di godere, lo si “mangia”, lo si conquista, lo si afferra, lo si fa proprio.
L’amore gode, il possesso conquista, accumula, vuole mangiare.
Ma l’immagine della vigna ricorda soprattutto la legge fondamentale della vita: se tu ti distacchi dalla linfa’, muori. Il vangelo dice: “Rimanete in me”. Lo ripete quasi ossessivamente. Perché in questo rimanere c’è il segreto di ogni cosa. Se tu ti distacchi dal tuo profondo per te è la fine.
La vita scorre dentro di te ma tu credi ancora che avendo quella cosa, che quando sarai là, che quando avrai ottenuto la laurea o sarai sposato o avrai i figli o la casa nuova, allora sì che sarai felice: ti stai illudendo. Se tu credi che quando lui cambierà, quando succederà questa o quella cosa, sarai felice, ti stai illudendo.
E per tutta la vita rincorri qualcosa o qualcuno, perché ciò che cerchi non è fuori, ma dentro. Se tu sei lontano da te nessuno ti è vicino. Se tu non ti senti, non ti percepisci, non puoi sentire né percepire nulla.
Rimani sempre in contatto la tua anima. Le parole di Gesù sembrano astratte, teoriche, per i mistici: “Rimanete in me; io in voi; voi in me”. Ma la cosa è tanto semplice quanto drammaticamente vera: l’intimità è data non da cosa fai ma da quanto in profondità vai.
Intimità (intimus superlativo di intra, dentro, di cui il comparativo è interior, interiorità!) è entrare dentro.
Non basta venire in chiesa e riempire Dio di parole e preghiere. Molti parlano a Dio ma non con Dio.
Alcune persone religiose e alcuni religiosi non provano nessuna vibrazione, nessuna vitalità, nessun slancio quando sono in chiesa, quando pregano, quando cantano. Non sanno piangere di fronte alle parole del vangelo; non si lasciano mettere visceralmente in discussione da ciò che sentono; non provano l’ebbrezza del canto o l’intensità del silenzio. Non parlano con Dio, lo riempiono solo di parole.
 Ma la felicità della vita, la fecondità, la vitalità della vita è essere dentro ad ogni cosa. La felicità è essere al centro della vita; al centro, cioè, nel luogo esatto dove c’è la vita, dove scorrono le emozioni, il pianto e le risa, il dolore e l’amore.
Fecondità è essere in contatto con sé, entrarsi e conoscersi in profondità, essere al centro di sé. Se si rimane lì, allora ci si sente per davvero, si capisce chi si è, si percepisce tutta la nostra vitalità.
Fecondità è quando incontro l’altro nella sua parte più intima, più interna, dove è più vero, più se stesso, dove riesco a vedere il suo vero volto. Allora c’è incontro. Fecondità è incontrare il mistero della vita, entrare dentro, capirci qualcosa, rimanere incantati dalla sua grandezza, dalla sua bellezza, dal senso di unità di ogni cosa, evento, persona e coglierne l’immensità. Fecondità è entrare dentro al mistero della mia vita, e non aver paura di entrarci. E cogliere il perché io sia così, il perché mi succedano certi fatti ed esperienze, il perché io sia nato qui e non altrove e abbia fatto queste esperienze e non altre, questi incontri e non altri, queste malattie, ecc.
Rimanere a questo livello di profondità ti fa sentire terribilmente vivo. Non che non ci siano più difficoltà ma si inizia a percepire la vita come qualcosa di inebriante, un po’ come il vino! Ci si innamora di lei. E quando sei qui ti viene spontaneo dire: “In ogni cosa, dentro!”.

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