Sport

Io sono El Diego

Eroe dalla vita spettacolare, fuoriclasse in campo, idolo indiscusso dei tifosi di mezzo mondo, icona del prestigio nazionale argentino, Diego Armando Maradona può essere considerato la prima vera star del calcio.
Nel 2002 Maradona scrive la sua fortunatissima autobiografia, “Io sono El Diego”, in cui racconta tutta la sua vita, dai campi di gioco a Villa Fiorito, ai momenti più gloriosi della sua carriera fino alla tragedia della droga. Quello che ne emerge è un ritratto del campione completamente nuovo, visto dall’interno, vissuto da protagonista perché, scrive, «a volte penso che tutta la mia vita sia filmata, che tutta la mia vita sia nelle riviste. Ma non è così, proprio no. Ci sono cose che stanno solo qua dentro, nel mio cuore».
Nato nel 1960 a Villa Fiorito, alla periferia di Buenos Aires, si fa notare per le sue eccezionali doti calcistiche già all’età di undici anni, quando gli viene affibbiato il soprannome di “El pibe de Oro” (il ragazzo d’oro). In quegli anni, il calcio sta attraversando un periodo di rinnovamento, il sistema viene messo in discussione e il talento individuale dei giocatori lascia spazio alla tattica e alla disciplina: in questo contesto il nuovo genio di Maradona è accolto, sia a livello nazionale che internazionale, come un’apparizione inaspettata, un dono divino. La sua magia sta nell’abilità a trovare le soluzioni giuste nei momenti più drammatici del gioco, nella sua fantasia sconfinata, nella spettacolarità dei suoi tocchi, nel saper produrre illusioni ed effetti inspiegabili, paralizzando gli avversari e incantando gli spettatori.
Maradona è un vincente si dall’inizio della sua carriera quando, a soli 18 anni vince i campionati giovanili per nazioni. Da quel momento ha inizio un’escalation di successi. Ai mondiali di Spagna del 1982 diventa così popolare da eclissare la stella del calcio per eccellenza, Pelè. Segue il suo trasferimento al Barcellona ma la sua avventura spagnola non è fortunata perché in due anni riesce a giocare solo trentasei partite a causa di un brutto infortunio. Successivamente approda al Napoli, dove diventa immediatamente l’idolo dei tifosi, portando la squadra ai vertici del calcio nazionale ed europeo. La nazionale argentina ormai dipende da lui e Maradona, da grande campione qual è, la trascina alla vittoria del titolo mondiale di Messico 1986, segnando contro l’Inghilterra quello che rimarrà nella storia come il più bel gol di tutti i tempi, consentendogli di entrare a pieno titolo nella leggenda. Poi viene Italia ’90 e, quasi in contemporanea, inizia la parabola discendente dell’eroe.
La sua vita è macchiata dallo scandalo, la sua instabilità emotiva e la sua insospettabile fragilità vengono fuori mostrando il dramma di chi, prima di essere un grandioso campione, è un uomo. Il declino procede inesorabile, allo scandalo doping si aggiunge quello della “dama bianca”, la cocaina e, inoltre, emergono gravi problemi fiscali. Dopo aver scontato la squalifica, torna a calcare i campi di calcio, ma ormai nulla è più come prima. Nonostante le poco proficue esperienze con il Siviglia e con la squadra argentina del Newell’s Old Boys, gli esperti di calcio e i tifosi invocano il ritorno in nazionale del Pibe de Oro, l’unico in grado di trascinare l’Argentina ai mondiali Usa ’94. Incapace di affrontare la situazione da solo, il campione ricade nel tunnel della droga e viene nuovamente fermato per uso di efedrina. In questa situazione si svela chiaramente tutta la fragilità dell’essere umano, incapace di affrontare da solo un sistema calcistico, mediatico e politico che pretende da lui sempre il massimo, che lo vorrebbe sempre perfetto, impeccabile in ogni sua azione, semplicemente un “dio” o non un uomo. Dopo alcune disastrose esperienze da allenatore, nel 1997 Maradona annuncia il suo ritiro dal mondo del calcio.
La vita di Maradona è cominciata nella gioia e finita nel pianto. Abituato a stare sotto i riflettori, ad essere acclamato dalle folle, dopo lo scandalo si trova ad affrontare qualche problema di adattamento dell’immagine, sembra non riuscire ad accettare che la sua carriera sia finita, che i giornali non parleranno più di lui e le televisioni di tutto il mondo non avranno più gol e prodezze da mostrare. Tuttavia, egli continua a rimanere al centro dell’attenzione mediatica e nel cuore di quanti lo hanno amato.
Per tutti resterà sempre El Pibe do Oro, un giocatore esuberante, imprevedibile, capace d’improvvisazione, dotato di creatività individuale e senso artistico. E, con una determinazione e una forza d’amino indescrivibili, l’eroe immortale continua a giocare la sua partita. «Ho fatto quello che ho potuto, non credo di essere andato così male. So di non essere nessuno per cambiare il mondo, ma non voglio che nessuno entri nel mio a condizionarlo. A manovrare… la partita, che è come dire condizionare la mia vita. Nessuno riuscirà a farmi credere che i miei errori con la droga o con gli affari abbiano condizionato i miei sentimenti. Nessuno. Sono lo stesso, quello di sempre. Io sono El Diego».

   

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