Mi affaccio alla finestra della mia stanza e, mentre un pallido sole illumina il giardino sul retro della casa, ripenso a quelle magnifiche giornate trascorse a Sharm el Sheikh. Sono tornata da circa due settimane, il tempo che occorre ai ricordi per cristallizzarsi e assumere i contorni del sogno. I panorami mozzafiato, le discese a mare sotto il sole rovente, i bagni caldi e le cene esotiche non mi appaiono più come un film, immagini in movimento, ma come singoli fotogrammi strappati all’incuria del tempo che tutto cancella. E ripercorrendo in sequenza le fotografie della memoria mi sembra di tornare in quel paradiso terrestre.
A Sharm el Sheikh piove solo un paio di volte all’anno e, strano ma vero, sono arrivata proprio in uno di quei giorni. Ma è bastato un raggio di sole a mostrarmi la bellezza di quel luogo incantevole, in cui il blu del Mar Rosso si confonde con il verde dei prati ben curati del Sea Magic, il resort a cinque stelle in cui alloggiavo.
Ricordo l’emozione della prima discesa a mare. Alle 9 di mattina il sole era già alto nel cielo e illuminava l’acqua rendendola iridescente. Milioni di stelline brillavano sul mare mentre il cielo era di un celeste tenue che diventava quasi bianco in prossimità dell’isola di Tiran, proprio di fronte alla spiaggia. Arida e secca, la mattina appariva di colore blu, anello di congiunzione tra cielo e mare, ma di pomeriggio mostrava il suo vero volto, quello di una terra arsa e sterile.
La spiaggia dell’hotel si stendeva per mezzo chilometro, una parte a terrazzamenti con due pontili per accedere alla barriera corallina, e l’altra sabbiosa. I lettini erano abbondanti e comodi ma niente era più forte del fascino del mare. I pesciolini colorati mi nuotavano intorno, provocandomi un misto di curiosità e ribrezzo, l’acqua era calda e limpida, il sole rovente. Tutt’intorno si respirava quell’aria di libertà e relax che solo una vacanza al mare sa donare.
Due volte al giorno, per cinque giorni, sono scesa in spiaggia e poi tornata in hotel per il pranzo ma ogni volta provavo la stessa emozione alla vista di quello spettacolo. Passeggiare per i viali del Sea Magic, orlati di fiorellini colorati, avendo il conforto della brezza marina era un vero piacere anche nelle ore più calde quando il sole picchiava impietoso. Non si udivano rumori né si vedeva gente, tranne qualche altro turista che andava al mare, e tutto era così tranquillo e pieno di pace.
Benché ci fosse la possibilità di mangiare comodamente in spiaggia, per il pranzo preferivo tornare all’hotel che, con i suoi sette ristoranti, offriva sempre una grande varietà di cibo. Ricordo le colazioni abbondanti sulla terrazza che affacciava sul mare e le cene al ristorante orientale, proprio sulla spiaggia, e riassaporo il gusto del pane arabo, così morbido da sciogliersi in bocca.
Non sono mancati i momenti culturali e quelli avventurosi, con l’escursione al Cairo e il safari nel deserto. Nella capitale ho visitato il Museo delle antichità egiziane – dove sono conservati vecchi reperti, mummie e sarcofagi, i tesori dei faraoni e la preziosa maschera funeraria di Tutankamon – e ho fatto una mini crociera romantica sul Nilo, dalle cui acque è nata la civiltà egizia. A pochi chilometri dal Cairo, nella spianata di Giza, emerge dal Deserto Libico il complesso delle tre piramidi, imponenti monumenti funerari dei faraoni Cheope, Chefren e Micerino. A poca distanza, percorribile anche a piedi, si trova la Sfinge, figura mitologica dal corpo di leone, simboleggiante la forza, e dalla testa di uomo a rappresentare l’intelligenza.
Nella capitale, dove la gente comune lavora e vive la sua vita quotidiana, si respira un aria di autenticità impossibile da trovare a Sharm el Sheikh dove tutto è costruito a misura di turista. La famosa Nahama Bay, dove gli stranieri amano trascorrere le proprie serate, è la fiera della falsità. Ci sono supermercati e discoteche, locali in cui fumare il narghilè e negozietti di souvenir ma il vero Egitto non potrebbe essere più lontano.
Un pezzo dell’Egitto autentico l’ho forse visto nel deserto del Sinai, lo stesso in cui il popolo d’Israele ha trascorso i quarant’anni precedenti alla conquista della terra promessa. Lì vivono i beduini, che conducono una vita sospesa tra la tradizione e la modernità. Sono raccolti in piccoli villaggi, alloggiano in tende e si cibano quasi esclusivamente dei prodotti offerti dalla natura incolta. Le donne, nascoste dietro il burka, si occupano di pascolare le caprette mentre gli uomini sono addetti ai cammelli. Non è raro, però, vedere beduini che parlano al cellulare o guidano macchine costose. Sono i beduini moderni, come li ha definiti la guida, gli stessi che mandano i propri figli a scuola solo per un paio di anni, il tempo di imparare a leggere e contare i cammelli. Il resto non ha importanza perché, secondo la loro filosofia, nel momento in cui i giovani acquisissero una certa cultura e scoprissero che esiste un mondo diverso dal loro, abbandonerebbero la vita nel deserto, lasciando scomparire le tribù beduine.
Gli abitanti del deserto ci hanno fatto accomodare nelle loro tende, costruite apposta per ospitare i turisti, e ci hanno offerto da bere il loro the, dalle proprietà curative oltre che dissetanti. Un buon bicchiere di the era proprio quello che mi serviva dopo le corse in jeep sui sentieri dissestati del deserto roccioso. L’autista, un pazzo sconsiderato che sa fare bene il proprio lavoro, non perdeva occasione per arrampicarsi sulle collinette più pericolose, facendoci balzare il cuore in gola. Nonostante la cintura di sicurezza, mi tenevo saldamente aggrappata al sedile con entrambe le mani, con gli occhi fissi sulla strada per vedere quale sarebbe stata la prossima montagna russa. Una grande paura ma anche tanto divertimento e risate con gli altri ragazzi nella jeep.
La cammellata sulla spiaggia, con il sole a picco e il vento caldo che sferzava, è stata un’esperienza unica così come lo snorkeling. All’inizio ero molto restia ad indossare maschera, pinne e muta ma poi la curiosità ha prevalso sulla diffidenza e mi sono lanciata in questa nuova avventura. Nuotavo costeggiando la barriera corallina mentre alla mia sinistra c’era l’abisso, profondo e impenetrabile. La varietà di pesci era così numerosa che contarli era impossibile.
Del Cairo come di Dahab, c’è un’immagine che porterò dentro per sempre: lo sguardo dei bambini affamati, sfruttati, mandati in strada anziché a scuola. Occhi accusatori che mi mettono di fronte alla mia pochezza, al mio egoismo, alla mia incapacità di amare e donare. E mi ricordano quanto ho avuto io dalla vita, mentre loro non hanno nulla.
ogni volta che lo leggo provo delle emozioni, e mi sembra di rivivere quei momenti
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