Oggi ho deciso di schierarmi contro la spettacolarizzazione della vita e di eliminare buona parte delle mie foto da facebook. Non combatto soltanto in difesa della privacy (che viene violata nella misura in cui noi stessi ci esponiamo allo sguardo degli altri) ma contro la concezione, sempre più diffusa, che soltanto ciò che viene pubblicizzato, reso visibile attraverso i social network, è reale.
Mi sembra che ormai non possiamo più semplicemente vivere, godere delle piccole e grandi gioie, senza piegarci alla logica perversa che ci vorrebbe tutti schiavi del web. Ciò che non viene spettacolarizzato non accade veramente: ormai ne è convinta la maggior parte della gente che si sente in dovere di portare le prove fotografiche di ciò che è e ciò che fa.
Se non metti le tue foto sui social network non conti nulla, semplicemente non esisti.
Siamo davvero sicuri d voler vivere così? Costantemente schiavi dell’apparenza? Io sono stanca, voglio vivere e viaggiare per me stessa, per arricchirmi e fare nuove esperienze, non per suscitare l’invidia del mondo e dire: communico ergo sum.
Concordo con te e aggiungo che tutto ciò fa parte di un disagio che ci portiamo dentro. Non pensiamo di essere ciò che siamo e basta, ma siamo in funzione di ciò che gli altri vedono di noi . La seconda non ha nulla di male in sè, fino a quando diventa però non relazione umana ma faccina, sms, foto etc . Quando questa trova la sua socialità solo nel virtuale. ti lascio questa riflessione di Bauman sul tema. (liberamente tratto da paura liquida)
Abbiamo bisogno e desiderio di legami solidi affidabili. Temiamo di non trovarli. Cerchiamo compulsivamente e appassionatamente reti più vasti di amici amicizie. Preferiamo riporre le nostre speranze nelle reti anziché nelle relazioni. Nella speranza che in una rete ci siano sempre numeri di telefono disponibili foto e sms con cui scambiare messaggi di fedeltà. Cerchiamo di supplire alla qualità con la quantità. Distribuire il rischio di fallimento accresce le possibilità di successo aumentando il numero delle scommesse: Questo ci sembra la via più prudente da seguire per creare dei rapporti. La linea che divide gli amici per la pelle dagli eterni nemici, un tempo tracciata chiaramente e vigilata attentamente e quasi del tutto scomparsa e sfuma in una sorta di zona grigia in cui è possibile scambiarsi ruoli in un attimo è con il minimo sforzo.
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Ti ringrazio per il tuo intervento. Bauman ha ragione e io stessa mi rendo conto di come, quando vediamo una nuova foto o leggiamo un nuovo stato dei nostri amici, ci sentiamo più vicini a loro, quasi partecipi delle loro esperienze. Ecco la quantità che vuole supplire alla qualità. In realtà, in questi casi, il virtuale divide molto più di quanto unisca.
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Il miracolo della foto su facebook produce l’impressione che l’essenza dell’altro sia visibile.a quel punto, l’altro non è più un individuo da conoscere. Chi è l’altro? Una molteplicità contraddittoria che esiste in un gioco di luci e ombre, di velato e svelato, una persona insomma. Con una foto diventa immediatamente visibile riconoscibile. Si è convinti grazie alla foto di sapere tutto sull’altro, che cosa desidera e come è strutturata la sua vita, perché la foto è come un’etichetta che non si limita classificare ma stabilisce un senso, una sorta di ordine nella vita di chi la porta. Cosa sappiamo realmente dell’altro quando conosciamo la sua foto? Il problema sta proprio nel fatto che il sapere si confonde con il ciò che è dato da vedere.
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Non capisco perché “buona parte delle mie foto da Facebook” e non tutte; secondo me, se c’è intenzione, si può spettacolarizzare se stessi anche con il “communico”, mi sembra soltanto una questione di mezzi. Io ho iniziato soltanto da poco a frequentare questo social network e non lo trovo così malevolo, piuttosto mi incuriosisce il fatto che tanta gente desidera pubblicizzare la propria immagine, e non credo sia perché pensa che se non è lì non esiste. Forse è soltanto la capacità dei social network di agevolare relazioni sociali smorzando quella sensazione di timore che ci prende ogni qualvolta ci troviamo ad instaurare nuove relazioni nel mondo non virtuale? In fondo è più facile, per molti, dire con il proprio profilo e le proprie foto: sono questo, mi volete?
Il guaio è che molto spesso la rappresentazione che diamo di noi è diversa da come siamo effettivamente, poiché pochi sono coloro che non cercano l’approvazione degli altri. La foto, l’icona, la spettacolarizzazione, la privacy e allora? Ogni giorno nella vita reale mostriamo un’icona, la nostra figura, che curiamo in funzione degli altri. Mi pettino così e mi vesto così perché penso che perlomeno non susciterò disapprovazione negli altri, sperando sempre nell’approvazione (sperando di piacere). Foto, filmati, vestiti, pettinatura, communico ecc. non sono che strumenti per attrarre l’attenzione degli altri su noi e quietare la nostra fame di altri, senza il cui giudizio, amicizia, amore, difetti, pettegolezzi e maldicenze siamo niente.
“Communico ergo sum”, beh, anche questo post, così sincero, ti espone ancor più delle fotografie, in quanto restituisce un’immagine di te ancor più profonda della bella foto che campeggia sul tuo profilo Facebook; devi considerare inoltre che non tutti sono capaci di usare la comunicazione come te e tieni presente che la maggior parte della gente segue la corrente, la moda, il gregge. Si tratta, come in ogni campo, di non esagerare, di prenderne la giusta dose, di non cadere nel fascino del voyeurismo o dell’esibizionismo più sfrenato.
Quanto all’invidia ognuno risponde alla propria coscienza, ma ho la sensazione che tu su Facebook abbia preso un’amara delusione, e che adesso lo odii più di quanto merita. Naturalmente il mio è un atto di presunzione, un’ipotesi azzardata dato che non ti conosco; d’altro canto però che senso avrebbe quel atto a metà “buona parte delle mie foto”.
Con stima Nicolò dal Castello
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Grazie per il tuo commento. Innanzitutto, preciso che non ho avuto nessuna delusione da fb e continuo ad usarlo come facevo prima ma, piuttosto che pubblicizzare l’esteriore, l’immagine, preferisco pubblicizzare la mia scrittura che, come hai intuito perfettamente, è il mezzo privilegiato con cui comunico.
Non ho nulla in contrario a chi pubblica tutte le sue foto, ma mi sono accorta che spesso non basta dire, ad esempio, “sono andata a New York”, bisogna provarlo con le fotografie. Il rischio è di non essere creduti. Chiaramente, mi baso su una mia impressione personale e non accampo nessuna pretesa di verità.
E’ vero che nella vita reale cerchiamo sempre l’approvazione degli altri ma la differenza, secondo me, sta proprio nella natura delle relazioni. E’ giusto che mio marito/moglie mi trovi attraente, è giusto che il mio capo noti la mia professionalità anche dall’abbigliamento ma non so a cosa possa servire essere “ammirati” da perfetti sconosciuti che non si incontrerà mai.
Io mi sono posta proprio questa domanda, in seguito alla quale ho deciso di eliminare le numerse immagini private che io stessa avevo esposto agli occhi del pubblico e di lasciare quelle poche immagini che rispecchino chi sono, senza dover per forza dire cosa faccio, dove vado, con chi sto.
Se voglio condividere queste esperienze lo faccio con la scrittura, senza nulla togliere a chi si sente più a suo agio comunicando con le immagini.
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